015. Gangsta Or Not
Siamo nel pieno del 1992 a Los Angeles, e non è un momento facile là.
Le rivolte hanno dato una scossa alla società, Sister Souljah tuona fortissimo e Bill Clinton si dissocia. Compton è un casino.
Poco distante da quello scenario, in uno studio di registrazione di Los Angeles, nasce un disco spartiacque inventato da Dr. Dre: The Chronic.
Passato dalla militanza e dalla protesta di ‘Straight Outta Compton’ ai suoni più smussati derivati da band quali Funkadelic, da voci soul e da strumenti dal vivo, Dre inventa qualcosa di nuovo dentro il rap e dentro la cultura Hip Hop tutta. Limita il numero di campionamenti per ciascuna canzone e intende proporre un nuovo paradigma per il rap mainstream che non sia né la musica da festa degli esordi né il trapano ritmico della protesta.
Sul disco in sè c’è un bellissimo approfondimento editoriale di Tidal che lascio al link nel caso in cui per te questo sia un disco come tanti altri. Potresti cambiare idea.
The Chronic è un momento importante per tutto l’hip hop perché da quel momento lo conosceremo in un modo diverso, in un suono diverso, restando nella corrente gangsta per quello che riguarda i testi, ammorbidendo i suoni, usando tempi più ballabili e incontrando il gusto e il supporto di entrambe le Americhe. Allo stesso tempo con questo nuovo codice, Dre si allontana dai puristi dell’Hip Hop che trovano invece in Common la voce necessaria per prendere le distanze dal G-Funk e in misura maggiore dal gangsta rap. Common è distante dalla matrice gangsta, lui arriva da Chicago che sta a tipo 29 ore di macchina da LA, lavora assiduamente con NO ID che diventerà uno dei mentori di Kanye West tanto che in Homecoming da ‘Graduation’ West fa riferimento alla canzone di Common. Questa canzone dedicata alla cultura hip hop, esprimendo il disaccordo con la strada gangsta che non gli appartiene e trova sconveniente, a favore dello spirito originario del rap che parlava di altro e lui - in effetti - ha sempre parlato d’altro essendo lui uno dei pionieri del cosiddetto conscious rap.
Il ragionamento su questi parametri viene rifatto periodicamente dentro l’hip hop e in particolare dentro il rap. Oggi siamo nel bel mezzo di un’altra crisi su cosa sia o cosa non sia il rap e su come dovrebbe essere fatto o meno il rap. E a pensarci bene, le motivazioni che hanno spinto uno come Kendrick Lamar a schierarsi contro il mainstream è solo la punta dell’iceberg.
Proprio per questo l’attenzione non dovrebbe (più, mai più) andare sui numeri, sugli streaming, su quello che oggi viene chiamato vendite. Dovrebbe andare là dove è davvero il nocciolo del problema: siamo probabilmente dentro l’ennesimo ciclo. Perché chi fa rap e lo fa bene è ancora là fuori a sputare le barre.
Io la butto lì: il futuro dell’hip hop è donna. Qui sotto qualche esempio.
L’episodio in versione audio lo trovi come sempre al solito posto, qui per questa volta ho evitato di mettere gli agganci con il contesto politico che, anzi, per restare adesi al presente sono il nocciolo di quello che scrive
in Mookie (bentornato!) e che ti consiglio di andare a leggere.Unsupervised la prossima volta lascerà l’argomento del Gangsta Rap e andrà dritto nel razzismo sistemico, uno dei cardini fondamentali del rap e della società americana. E sono cose che è maledettamente importante tenere presente perché “razzismo” non è solo una parola messa lì per attirare l’attenzione. Sfortunatamente è qualcosa di molto più pericoloso e bisogna starci attenti.