010.The King And The X
Unsupervised è quella cosa che, stavolta, prende la strada che da Martin Luther King incrocia quella di Malcolm X. Anche nella versione audio.
It’s just like when you’ve got some coffee that’s too black, which means it’s too strong.
What you do?
You integrate it with cream; you make it weak. If you pour too much cream in, you won’t even know you ever had coffee. It used to be hot, it becomes cool. It used to be strong, it becomes weak. It used to wake you up, now it’ll put you to sleep. (Malcolm X, campionato da Public Enemy)
Disimparare la semplificazione secondo la quale Martin Luther King sia “il buono” e Malcolm X “il cattivo” è necessario.
Soprattutto alla luce del fatto che gli stereotipi attaccati alle due figure enormi della storia (non solo americana) li hanno fatti percepire in maniera poco aderente al contesto in cui hanno agito, in maniera falsata rispetto a quello che hanno rappresentato, li hanno fatti percepire come dei cliché.
Da una parte l’utopia di una comunità amata in cui la società americana sarebbe diventata completamente integrata a livello razziale e dall’altra la promozione di un nazionalismo nero che non chiedeva nulla ai bianchi se non di farsi gli affari loro senza interferire con gli sforzi degli afro americani occupati a costruire la propria dignità.
A smontare questo status quo ci sono gli studi di Peniel E. Joseph, professore dell’Università del Texas ad Austin.
Nelle pagine dei suoi quattro libri incentrati sulla lotta per i diritti civili, minuziosamente cesellati sulla base di cronache e testimonianze sul campo, diventa chiaro come le due figure potevano essere opposte all’inizio della loro vita pubblica ma convergenti (e forse qualcosa in più) con l’andare del tempo.
Sono questi studi che hanno fornito parte del materiale su cui hanno lavorato gli sceneggiatori di una serie TV dedicata ai due leader in distribuzione su Disney+1 dallo scorso mese di marzo.
Non sapremo mai se le due pallottole non avessero fermato sia uno che l’altro cosa sarebbe successo, cosa sarebbe cambiato.
Ma possiamo sapere quali sono le differenze dei contesti di provenienza dei due, le differenze di formazione, le differenze e le convergenze di due leader che hanno cambiato il corso della storia. Però dobbiamo sporcarci le mani e studiare sulle pagine che dai nostri libri di storia (chissà come mai) sono state strappate.
Ci si trova quindi di fronte a una successione di fatti che deve essere presa dall’alto, fatti che devono essere considerati nella loro complessità e calati nel contesto storico in cui avvengono, che non possono essere ridotti a una narrazione lineare, dei quali bisogna cercare di osservare le intersezioni con tutti i piani sui quali poggiano.
Ho provato, questa volta e la prossima, a sintetizzare le figure di MLK e Malcolm X dentro il loro contesto per andare a scoprire qual è davvero la loro eredità. Un’eredità che - nemmeno a dirlo - ancora oggi fa non ha mai smesso di essere eco in diversi repertori di artisti hip hop.
Ho provato a condividere qualche spunto per riuscire ad entrare in questa favola della buonanotte per capire che c’è un meccanismo incastrato: perché non è una favola e perché non è nemmeno una buonanotte.
Martin Luther King e Malcolm X, provenienti da contesti diversi, uomini notevolmente diversi ma entrambi rivoluzionari. Con più di un punto in comune. Con più di una storia in comune. Con l’importanza che ancora oggi hanno se li considera dalla giusta angolazione: guarda caso quella più complessa.
Si ricomincia con la storia, somministrata a pezzetti, senza una progressione cronologica perché, come avevamo già espresso qui, stiamo osservando quello che succede sulle strade delle due Americhe e quello che vediamo dipende da dove ci stanno portando i nostri piedi (e perché Unsupervised non è il racconto della storia dell’Hip hop, ci tengo tantissimo a sottolinearlo).
E se ci fosse una capsula spazio/tempo che ci porti da quegli anni ad oggi, noi atterreremo sicuramente sul disco di Rapsody che è la musica al di fuori della playlist di Unsupervised che sta facendo da colonna sonora anche a quello che stai leggendo qui.
Un salto apparentemente rischioso, ma se torniamo a considerare il fatto che una delle basi degli attivisti per i diritti civili degli afroamericani in America è quella dell’affermazione di una dignità e di una identità, allora ‘Please Don’t Cry’ diventa un gancio che trascende la linearità del tempo.
Subito.
Nell’introduzione con Phylicia Rashad dove vengono stampate a chiare lettere le parole “Do You Even Know Who You Are?”.
C’è un’ulteriore aspetto da considerare, qui. Nell’intervista raccolta da Stereogum si parla di 360 canzoni scritte per poi scegliere le 22 presenti nel disco.
Un aspetto importante che conferisce dignità a un lavoro che è il frutto di sottrazione e non la rincorsa ad essere sempre presenti. Un aspetto che chiarisce la differenza fra “opera d’arte” e “prodotto”.
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“Genius” è un formato di National Geographic che si occupa di tradurre in serie tv opere monografiche. Precedentemente a quella su MLK/X ha prodotto Aretha Franklin, Pablo Picasso e Albert Einstein.