006. BIRD UNCAGED
Forse te ne sei accorto: è uscito un disco nuovo di Beyoncé1.
E delle infinite cose che ne sono state scritte, la più interessante è il comunicato stampa che lo ha accompagnato e che qualcuno ha citato casualmente perdendo completamente di vista tutto il discorso che si è attestato sulla discussione sterile che “Beyoncé ha fatto un disco country”.
Comunicato stampa che sarebbe stato l’unica cosa da cui prendere, l’unica cosa da citare da parte di tutti i “professionisti” che sono corsi a “recensire” Cowboy Carter senza essersi presi il tempo di approfondire (perché bisogna arrivare primi, mica è necessario arrivarci per fare un servizio ai lettori, scherzi?).
Questo è un esempio, forse il più semplice, per aprire una discussione che può avere risvolti interessanti su come ciascuno di noi entra in contatto (volendo) con la musica nuova.
”Recensire” un disco che è il risultato di cinque anni di lavoro a due ore dalla sua pubblicazione (senza quindi averlo ricevuto in anticipo tranne pochi casi e il disco dura un’ora e venti) significa fare un brutto lavoro, un brutto servizio, ed è una delle cose per cui oggi come oggi i media che si occupano di musica sono grosso modo largamente snobbati dagli appassionati, trascurati da questo tipo di “critica” che punta al display del banner a visitatori occasionali (già, il “modello di business” sul quale ci fanno anche i corsi, pensa te!). Sarebbe bello avere più scrittori che content creator, in questo campo, ma sembra che sulla questione ormai ne discuta solo il WWF. Di fatto, arrivare prima non significa niente e serve ancora a meno. Per la reputazione, intendo.
Una sola nota, ad esempio: Jon Batiste non lo ha citato quasi nessuno, ma è uno dei responsabili del manifesto ‘American Requiem’ come lui stesso ha scritto su quel social con l’uccelletto:
This is the moment yall, where we dismantle the genre machine. I was happy to produce and write for AMERIICAN REQUIEM, along with Beyoncé and Dion "NO ID" Wilson. When I catch inspiration, the words and chords pour out of me. What a honor to then see how brilliantly Beyoncé made them her own and THEN further enhanced the lyrical statement, synthesizing it into the larger body of work. After the harrowing vocal prelude that happens to start Cowboy Carter, you get to hear these words that read like a proclaimation. "Do you hear me or do you fear me? " or better yet in our Louisiana vernacular "Looka dere, Looka dere" Prior to this, Dion and I had been on a creative journey, having conversations about the state of music and where we could take it. We'd been having these conversations for years but something about recent times has felt ripe with the power of actualization. When I picked up my guitar and notebook to write this song I put my trust God to liberate my creative mind, as I always do when channeling inspiration. Quincy Jones told me, as he also wrote in his forward to my WE ARE album, "it's up to you to de categorize American music!! " , which is what Duke Ellington told him. I really believe that is our generations role, led by a few artists willing to take this leap.
@Beyonce, very grateful for my contribution to your brilliant album, a work of such unimaginable impact and artistic firepower by a once in a generation artist. So glad that we finally got to collaborate with each other at this time. Producing and writing for AMERIICAN REQUIEM was an example of extraordinary alignment—when many leading artists see a similar vision at the same time, that's when you know a major shift is happening. A new era, long time coming. Let's liberate ourselves from genre and break the barriers that marginalize who we are and the art that we create. Grateful also for the contribution by my brother @dixson and the other collaborators who made this opening statement of Cowboy Carter possible.
E dalla nostra parte, il buon tricolore, la “recensione” più bella è quella che ha scritto
in Mookie:Poi però, mentre eravamo tutti distratti da Cowboy Carter è uscito anche questo disco qui:
Motherfuckers got the gall to call my phone
Talkin' 'bout the bullet holes in your daughter room
That's the warning when you ignore the rules
It's war when you put salt on wounds like when you ordered food
(…)
Shit isn't new, we need a reboot
They took what we do and repeat the loop
It's gettin' easier to sleep through
I'm just speakin' truth
We can keep this between me and you or get medieval (Gold Crossbow)
Tornando a noi.
Si è parlato del problema delle carceri americane o per lo meno si è provato a introdurlo. E la testimonianza di alcune eminenze torna a costituire l’asse portante della versione audio di Unsupervised.
Partendo da Angela Davis fino alla stessa visione di abolizionismo espressa da Marlon Peterson attraverso la sua vita e la raccolta di memorie che ha intitolato ‘Bird Uncaged’.
Elementi che possono sembrare in apparenza distanti ma che sono alla fine punti di vista sullo stesso argomento distanti alcuni decenni. Dimostrazione del fatto che il problema arriva da lontano nel tempo e certezza che non ci sia ancora stata l’intenzione di risolvere nulla.
Per un sacco di motivi, intuibili dal libro di Peterson e dai discorsi di Angela Davis e di tutti coloro che ne hanno parlato in mezzo tra i due. Tutti coloro che, alla fine, hanno parlato di suprematismo bianco.
Peterson riconosce di aver alimentato egli stesso il sistema del suprematismo bianco non indentificandolo come appartenente soltanto agli americani bianchi di carnagione.
Il suprematismo bianco, secondo Peterson, è quel meccanismo secondo il quale le differenze sono trattate per far del male alle persone – indipendentemente dalla pigmentazione – che quei danni e quel dolore vengano dimenticati senza essere presi in considerazione, che la libertà personale possa esistere senza un’onestà collettiva e la volontà di sanare e di guarire.
L’America di Peterson è quella cosa che pratica l’uguaglianza per chi è bianco e maschio. Che applica il concetto di libertà fondandolo sulla schiavitù, sull’incarcerazione di massa, sulla deportazione. Che ha più pistole che esseri umani, che è indivisibile perché dispensa speranza e futuro per tutti, opportunità per tutti e le cancella quando entri in uno dei ghetti, costruiti secondo l’America stessa così ombelicale ed egoista per dare speranza e futuro anche a chi viene cacciato da casa propria a causa della gentrificazione.
L’America di Peterson è l’altra America, quella che guarda quella del suprematismo bianco e sceglie – finché e dove può – altre strade.
Una sola, brevissima nota tecnica: se nella versione audio ti sembra che le cuffie funzionino male il problema è che ‘Belly Of The Beast’ dei Lifers Group l’ho dovuta codificare per il digitale dal vecchio “disco mix” che risente di tutti gli ascolti passati dal 1991 ad oggi.
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Un piccolo gesto fa la differenza.
Piccola digressione sul fatto che nella versione “in fisico” del disco siano mancanti delle tracce. Non è la prima volta che accade (emblematica quella di ‘The College Dropout’ di Kanye che esiste ancora oggi solo in formato “chopped” o di ‘Rhythm Nation’ di Janet Jackson riproposta solo di recente nella stessa configurazione del CD, prima ancora ‘Broadway And The Hard Way’ di Frank Zappa o le mutilazioni ad alcune tracce di ‘Innuendo’ su vinile per i Queen) e accade oggi semplicemente per un motivo: spesso le versioni digitali e per gli streaming vengono chiuse qualche giorno prima della distribuzione. Questa cosa non accade con i formati fisici che hanno tempi di lavorazione decisamente lunghi o per evitare - consuetudine oggi desueta - di condensare il lavoro nella durata dei due lati di un LP. La morale è sempre la stessa: controllare la lista dei pezzi sui formati fisici e decidere con calma, con la stessa calma per cui - spesso - le deluxe edition restano là a prendere polvere sugli scaffali.