005. I Seen A Man Die
Chissà come mai, sempre sul più bello arriva la polizia.
Ci sono volte in cui uno se lo auspica che arrivi.
Ad esempio quando ci sono le zuffe finte sui social perché le persone prendono le difese del proprio rapper quando un altro rapper fa il dissing e riversano tutta la loro frustrazione tra fan in una royal rumble discutibile che non ha nulla a che fare con lo spirito di competizione che - da sempre - anima l’hip hop.
Il caso del dissing di Kendrick Lamar a Drake e J Cole sul disco di Future e Metro Boomin è esemplare di come i fan siano, appunto, dei fan e non degli appassionati di musica.
Meno male che almeno quel pezzo, dal disco, è qualcosa che merita di essere ascoltato (no, il resto dell’album no, almeno per me).
Che poi, a dirla tutta, alla fine una strofa di Kendrick Lamar ha spazzato via tutti gli argomenti possibili su un’ora di musica confezionata da Future e Metro Boomin’. Tu leggila un po’ come vuoi, ma io la leggo così: tutto questo rumore ha dimostrato che quattro frasi di K Dot valgono più di un album degli altri due.
Personalmente, su questa diatriba vince comunque Rapsody che ha da poco annunciato il disco nuovo anticipato anche da ‘Stand Tall’ che è la canzone di apertura della versione audio di Unsupervised
You gon' shine or fade to black as a result of all your damages
I learned life like bike rides, we gotta handle it
Prima che I fan sui social si mettessero a parlare, discettare e litigare su quale fosse la scuola migliore dell’Hip Hop (meglio la old school? No sei un dinosauro, meglio la new school e se non la capisci è perché sei vecchio - questo il tenore altissimo delle discussioni) c’è da tenere presente che esiste anche l’era dell’asilo dell’hip hop. Più o meno c’erano ancora gli anni settanta nelle date.
E se dovessimo partire da due figure importantissime per la cultura hip hop dei tempi in cui la cultura era ancora all’asilo io partirei proprio dell’asilo con Africa Bambaataa e KRS One.
Potremmo anche con una certa leggerezza affermare che questa cultura sia la tradizione orale 2.0 prima che nascesse il 2.0.
Fra Zulu Nation e Knowledge c’è tantissimo in quello che hanno detto e fatto questi due, fin dall’inizio e a parte ogni polemica che i personaggi possono sollevare (soprattutto nel caso di Bambaataa).
Il contesto in cui ci si muove questa volta in Unsupervised è quello della Guerra alle Droghe, quello del loop dell’incarcerazione e di tutto quello che è prettamente Americano come ad esempio il Texas e le sue leggi spiegato bene dal Washington Post.
Nella versione audio questa parte della storia di George Floyd segue il reportage di Robert Samuels e Tolouse Olorunnipa, i vincitori del Pulitzer 2023 con “Il Suo Nome è George Floyd” (se non hai tempo per recuperarlo ma ti incuriosisce la faccenda puoi leggere un estratto pubblicato qui) dove il problema della violenza, gli effetti indesiderati della politica, quello che non ha mai funzionato nella Guerra Alle Droghe viene affrontato in pagine densissime della biografia di Floyd.
L’hip hop è consapevole del contesto violento dei “suoi posti”, del problema della violenza e delle gang, dell’illegalità spinta, così come del potere aggregante della musica, ben rappresentato dalle prime figure di spicco della cultura. Una consapevolezza che viene completamente oscurata dalla politica in maniera agghiacciante attraverso le dichiarazioni a posteriori dell’assistente per gli affari interni di Nixon.
Comunque non abbastanza agghiacciante per non essere ripreso da Ronald Reagan una decina di anni dopo.
Di fatto, per noi, uno dei temi dell’America o, meglio, delle due Americhe.
Tema che - sempre a proposito di riferimenti, ma questa volta riferimenti che utilizzo io - è riassunto in una delle uscite di Mookie:
Le conseguenze, dalla war on drugs in poi, furono un crescente e giustificato ricorso a metodi violenti da parte della polizia e leggi che, nel loro insieme, penalizzarono oltremodo i neri. Ad esempio, l’Anti-Drug Abuse Act del 1986 – sponsorizzato, tra gli altri, proprio da Biden – istituì una disparità di condanna tra crack e cocaina a “favore” della seconda e, poiché il consumo di crack interessava maggiormente gli afro-americani, quest’ultimi continuarono ad affollare le carceri. Una svolta, in questo senso, arrivò soltanto nel 2010 con il Fair Sentencing Act, ma nel frattempo “l’epidemia” era passata, mentre rimanevano danni incalcolabili. Come ricorda Ta-Nehisi Coates in un saggio di qualche anno fa sul tema, spesso si è trattato (si tratta) di giovani padri senza lavoro che difficilmente, una volta di nuovo fuori, riusciranno a trovare un impiego o ad evitare la strada.
Mookie è la creatura in formato newsletter di Fabio Germani.
Un riferimento a mio avviso fondamentale sia per me come persona curiosa che per me come “uno di quelli che parlano anche di hip hop non avendo la pelle nera” e secondo me un riferimento importante per tutti quelli che dalla musica nera (mica solo dal rap) vogliono scoprire cosa c’è sotto, il motivo per cui si esprime in determinati modi.
La prospettiva è quella che parte dal presente per andare a gettare la luce nel passato unendo i fili che spesso non sono così evidenti nell’unire avvenimenti e persone.
Siccome Fabio è un pignolino nella migliore accezione del termine, apre ogni volta scenari su altri riferimenti e su approfondimenti che fanno di Mookie un punto di partenza prezioso per scovare cose di musica e cose di America.
Spesso scendendo in entrambe le complessità contemporaneamente, accompagnati dal taglio giornalistico del buon Germani.
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